AllDaYeZers: Mario Calderini

Innovazione ed impatto sociale in un’Italia che cambia

Mario Calderini, laureato in ingegneria Meccanica al Politecnico di Torino con un Ph.D in Economics alla University of Manchester, ha dedicato la sua carriera non solo a studiare, ma soprattutto a disegnare ed implementare politiche a supporto dell’innovazione. Professore ordinario della School of Management del Politecnico di Milano e Direttore dell’Alta Scuola Politecnica, è stato Visiting Professor a Shangai e docente della Luiss Business School. Dirige inoltre Tiresia, centro di ricerca sull’innovazione della Business School del Politecnico di Milano. Oltre alla carriera accademica, il Professor Calderini porta con sé una lunga esperienza al servizio di ministeri e istituzioni italiane e internazionali. Dagli incarichi per il Ministero dell’Istruzione, a quelli per la Presidenza del Consiglio, il G8, l’OECD e la Commissione Europea.

Abbiamo approfittato di questo eccezionale bagaglio professionale per fare un po’ di chiarezza su cosa significhi parlare di innovazione, sul ruolo della Social Innovation e sulle potenzialità di portare innovazione nel contesto politico e amministrativo del nostro Paese. Partiamo col dire che la definizione di innovazione è estremamente complessa. “Pensate che nella lingua Inuit ci sono ventuno parole per dire “ghiaccio”, una per ogni tipologia; mentre noi usiamo un solo termine per parlare di innovazione” ci ricorda Calderini. È evidente che per quel popolo il concetto di ghiaccio sia vitale, così come lo è saperne cogliere le mille – anzi ventuno – tipologie.

Evidentemente invece, l’innovazione non è mai stata così centrale per noi da richiedere una tale abbondanza di vocaboli. Ne consegue che chiamiamo innovazione cose infinitamente diverse tra loro. “È legittimamente innovazione il distributore di ticket numerati nelle piccole botteghe che ha permesso di rendere più ordinate le code, ma lo è anche il satellite che manda segnali per i nostri GPS”. Questa confusione, che talvolta inizia proprio da incomprensioni semantiche, ha avuto un riflesso rilevante in termini politici, con misure one size fits all, buone ad incentivare ogni possibile forma di sviluppo nella mente di chi le creava.

In fin dei conti comunque, “l’innovazione non è altro che un atto intenzionale di cambiare le cose, esattamente quello che state cercando di fare voi di Yezers” ci racconta il Professore. Politicamente, abbiamo sempre dato una connotazione positiva all’innovazione, dissociandola dai concetti di “rischio” e di “morte”, due parole con un’accezione ben più negativa. È però innegabile che “se non c’è rischio non c’è innovazione, ma soprattutto se non c’è morte non c’è cambiamento”. L’innovazione è forza di creazione distruttiva: per innovare bisogna essere disposti a distruggere qualcosa, a vederlo morire se necessario. Questo impatto sociale deve essere gestito e governato. L’unica soluzione praticabile per farlo è incorporare ex-ante la previsione di tali ripercussioni negative nell’atto innovativo. Questo, in poche parole, è il concetto di Social Innovation.

Attenzione però a non commettere un errore fondamentale, specialmente quando si cerca di applicare tutto ciò all’innovazione politica in Italia. Non si pensi infatti che disegnare nuove politiche sia un esercizio green field, come dipingere su una tela bianca. “Le politiche per l’innovazione sono una delle attività più brown field esistenti. È necessario tirarsi su le maniche, immergere le mani nel fango e passare una lunga quantità di tempo a smontare l’infrastruttura esistente prima di poter costruire qualcosa di nuovo”.

Un ultimo consiglio, davvero prezioso per la nostra Community, arriva poi in chiusura: “non commettete l’errore di concepire politiche sempre più belle e sofisticate senza curarvi dell’execution. Sceglietene una e impegnatevi per fare in modo che preda vita e venga implementata fino in fondo. Dopo tanti anni passati a disegnare politiche sempre più sofisticate, se potessi tornare indietro, questo è quello che farei”.

 

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