Tagliare i posti in parlamento non migliorerà la nostra democrazia

La riforma costituzionale approvata mercoledì 8 ottobre racconta un’Italia che per migliorare i propri processi democratici opera un taglio su se stessa, mascherandolo come un intervento di risparmio. 57 milioni di euro all’anno è la cifra che vale la riduzione del numero di parlamentari, ovvero sia lo 0,007 per cento della spesa pubblica nazionale, molto meno di una qualsiasi oscillazione del rendimento dei titoli di Stato prima della loro emissione.

La rappresentanza dei cittadini, quindi, sembra interessare poco, e i conti pubblici ancora meno. Sembra contare piuttosto qualcos’altro, in grado di mettere d’accordo Partito Democratico, Liberi e Uguali, Italia Viva, Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia, Popolo della Libertà e Lega, che dopo prese di posizioni più o meno contrastanti hanno deciso di votare in blocco la proposta capeggiata dai grillini.

“Semplificare” l’attività del legislativo e ridurre i numeri di un Parlamento ritenuto troppo affollato e pagato sono stati i cavalli di battaglia di una campagna di convincimento spesa troppo spesso a gettare fumo negli occhi, a trovare obiettivi dal facile consenso, come appunto il “tagliare le poltrone” senza ulteriori ragionamenti, senza declinare questo provvedimento all’interno di una più complessiva revisione istituzionale che andasse ad affrontare i veri nodi del nostro sistema, ossia il bicameralismo perfetto, i regolamenti parlamentari, la stessa legge elettorale, senza contare stipendi e benefit vari. Tutte questioni ignorate o, nella migliore delle ipotesi, affidate a futuri accordi tutti da verificare.

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