Voto a 16 anni? Sì, grazie

Nelle scorse settimane Enrico Letta ha proposto di abbassare il voto dell’elettorato attivo nel nostro Paese da 18 a 16 anni (ricordiamo che l’elettorato attivo è composto da coloro che votano; quello passivo da coloro che si candidano e possono essere votati). Enrico Letta ad appena 32 anni fu il più giovane ministro italiano, per poi essere nominato a 47 anni Primo Ministro del 62° Governo della Repubblica, e attualmente è direttore  della Scuola di Affari Internazionali alla prestigiosa École Science Po di Parigi, dove si formano le classi dirigenti della politica francese ed europea.

Questa sintetica nota biografica serve, se ce ne fosse bisogno, a testimoniare la qualità della persona e lo spessore della sua preparazione politica, costruita con una qualificata esperienza personale e poi con l’analisi scientifica.  Ma serve soprattutto da sostegno alla proposta del voto a 16 anni, proposta che di sostegno sembra avere particolare bisogno.

Se lo si considera in via puramente logica, infatti, il voto a 16 anni dovrebbe essere una conseguenza naturale della legislazione dei maggiori Paesi membri delle Nazioni Unite. In essi, infatti, all’età di 16 anni decadono gli obblighi scolastici e si è pertanto nella condizione giuridica di poter lavorare e pagare le tasse. Avere la possibilità di decidere con il voto come le tasse versate debbano essere impiegate dovrebbe dunque essere un fondamento acquisito della rappresentatività democratica (o, se si preferisce, semplice buon senso).

Le cose tuttavia non stanno così.

 

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