Stagisti? Talenti!

Problema
Qual è il problema che si cerca di risolvere?
In Italia l’esperienza del tirocinio costituisce per i giovani un investimento dai ritorni variabili. Dati alla mano (Rapporto annuale sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro) il 76,2% dei tirocini non vengono convertiti in ingressi nel mondo del lavoro. Ma i problemi non sono solo alla fine dello stage: crediamo infatti che, per quanto l’obiettivo del tirocinio sia principalmente formativo, lo stagista porti skills e novità nelle organizzazioni, piccole o grandi che siano. A fronte di questo seppur modesto apporto, spesso non viene riconosciuto un controvalore adeguato.   Questa situazione spesso non consente di coprire le spese minime di chi inizia una vita fuori dalla sua famiglia. Già, la famiglia: l’insufficiente valorizzazione dei tirocinanti sposta il peso dell’esperienza lavorativa sul nucleo familiare d’origine. Ciò porta chiaramente a gravi distorsioni nel mondo del lavoro e nelle scelte professionali dei giovani che non possono contare sulla famiglia. È chiaro inoltre che il rinunciare a un tirocinio per motivi economici comporta una minore qualificazione del capitale umano e una maggior incertezza al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro, determinando non solo minori probabilità di carriera ma anche una minore competitività aggregata del Sistema Paese.  
Chi riguarda
A quali categorie di individui si riferisce?
Con la consapevolezza di poter costruire insieme un futuro più solido e chiaro, Yezers sta elaborando una serie di soluzioni a questo problema fondamentale della nostra generazione. Infatti “Stagisti? No: Talenti” si riferisce a tutti i giovani ancora non entrati sul mondo del lavoro (o che ci si trovano in situazioni precarie o di formazione) e per questo è fondamentale che venga conosciuto e compreso.
Implicazioni
Quali sono le implicazioni di questo problema sul target?
Secondo una ricerca del Center for Research on College to Workforce Transitions, fenomeni di questo tipo impattano negativamente sulla mobilità sociale, sia che sia di natura geografica o patrimoniale. Un’insufficiente o assente remunerazione di studenti o neolaureati, che non dispongono di fonti di reddito alternative (o al massimo queste ultime sono di natura saltuaria o addirittura non regolarizzata) sposta il peso economico dell’esperienza su altri soggetti, in primis sul nucleo familiare di provenienza costo opportunità. Ciò porta a gravi distorsioni nei meccanismi di accesso al mondo del lavoro e nelle scelte professionali degli individui che non possono contare sulla disponibilità di fondi da parte della famiglia per periodi prolungati, soprattutto se il luogo di lavoro è distante dalla residenza del nucleo parentale. Inoltre, per gli studenti la condizione di assenza di compensazione si dimostra negativamente correlata con le possibilità di progresso di carriera e dei conseguenti benefici a livello di qualità della vita.
Estero
Questo problema è presente all’estero? Se sì, come è stato affrontato e con quali conseguenze?
Stando al rapporto di ricerca “Skills Development and Employment: Apprenticeships, Internships, Volunteering” del Parlamento Europeo, il numero di individui coinvolti in un tirocinio è cresciuto da 4 a 6 milioni in un anno. Stando ad alcuni studi condotti tra il 2012 e il 2013, quasi il 60% dei tirocini non sarebbe retribuito e addirittura nel 30% dei casi non si riscontrerebbe nemmeno un valido contenuto formativo. La situazione differisce da Paese a Paese, con variazioni cross-country che riflettono/seguono, in genere, le diverse dinamiche nei “rispettivi” mondi del lavoro. Nei Paesi Membri UE di più recente adesione - che si contraddistinguono anche per economie meno sviluppate - la situazione è peggiore rispetto ai nostri peer europei. Come analizzato nel Dossier, la Germania viene identificata da varie fonti come il Paese “benchmark”: in questo Paese lo stage è visto come parte integrante del percorso di educazione e non come “accessorio” e ciò configura un ’approccio più pragmatico rispetto ad altri Paesi dove lo stage si configura come esperienza "residuale” o facoltativa. Nel Regno Unito manca una regolamentazione apposita e non vi sono standard ufficiali; stando alla legge, chi svolge mansioni secondo orari di lavoro definiti da accordi dovrebbe essere pagato con il minimo salario orario approvato dal governo (7,20 sterline o 6,95 tra i 21 e i 24 anni), ma in realtà oltre 20.000 neo-laureati lavorano gratis, secondo un sondaggio condotto da YouGov, soprattutto nei settori educazione, trasporto e distribuzione, turismo e retail; in finanza il 20% degli stagisti inglesi non viene retribuito. In Francia se lo stage supera i 3 mesi il tirocinante ha diritto ad almeno 500€ al mese mentre in Irlanda il compenso è garantito per un ammontare pari all’80% del salario minimo dei lavoratori. In Spagna c’è un obbligo legale di retribuire i tirocini extracurriculari (post laurea, entro i 5 anni dalla fine degli studi) con una cifra pari almeno al 60% del salario minimo. Negli Stati Uniti ci sono 1 milione e mezzo di stage offerti ogni anno ai giovani, e la maggioranza (50%) senza compenso. Con solo il 52% che viene assunto alla fine dell’esperienza.
Soluzione
Quali sono le implicazioni della soluzione identificata?
Pensiamo sarebbe utile introdurre nuove “tariffe orarie” di rimborso spese, valutate per qualifica ottenuta o in fase di ottenimento, al fine di evitare fenomeni di sfruttamento e applicare il trentaseiesimo articolo della Costituzione che prevede un emolumento per i collaboratori che dia dignità. Benché il rimborso spese non si qualifichi come emolumento, per lo stagista il rimborso è assimilabile a un vero e proprio stipendio. Questa proposta è diretta a istituire un livello minimo e armonizzato di “stipendio/rimborso valido per le mansioni svolte sul territorio italiano. Si richiede che venga previsto un rimborso orario minimo differenziato (e progressivo) rispetto al titolo di studio conseguito (diploma di scuola secondaria di secondo grado, laurea triennale e laurea magistrale).   Chiaramente la legislazione dovrà prevedere un cuneo fiscale ridottissimo: cioè che per gli studenti queste entrate siano il più “nette” possibili e che alle imprese costino quanto più possibile vicino all’introito netto del lavoratore. Sarebbe ideale addirittura detassare l’indennità di partecipazione degli stage extracurriculari (o di quelli curriculari pagati) almeno per i primi sei mesi. In ogni caso, in tutti i casi in cui una tassazione sia prevista sull’indennità erogata dall’azienda ospitante allo stagista, si dovrebbe integrare un obbligo di evidenziazione, nel patto di tirocinio, dell’ammontare della cifra corrisposta mensilmente al lordo E al netto delle ritenute fiscali, di modo da ridurre le asimmetrie informative in sede di stipula del contratto di tirocinio. I vantaggi legati alla Soluzione vertono tutti intorno a tre aspetti, fondamentali per una crescita bilanciata del Paese e delle sue competenze, ovvero: condizioni economiche meno precarie per coloro che si affacciano sul mercato del lavoro, più risorse a disposizione dell’economia reale (data la nulla capacità di accumulo di risparmio), maggior commitment da parte sia del datore che da parte del ricevente, per un semplice meccanismo psicologico di incentivi. In particolare, per gli stagisti è possibile prevedere:  
  • Un aumento della qualità della vita,
  • Una distribuzione delle risorse verso le nuove generazioni,
  • Uno stimolo all’imprenditorialità,
  • Maggiori risorse a disposizione per l’economia locale,
  • Facilitazione dell’emancipazione dalla famiglia,
  • Una valorizzazione dei percorsi di studio.
  Tutti questi aspetti, che sono analizzati nel Dossier, servono a individuare condizioni più umane e dignitose, garantendo le stesse possibilità.   Altri vantaggi legati alla soluzione potrebbero essere un maggiore commitment (produttività) dello stagista, un aumento dell’attrattività nei confronti di studenti stranieri e la possibile diminuzione del fenomeno dei “cervelli in fuga”, in quanto riconoscendo più valore alle esperienze degli studenti in Italia, diminuirebbe il numero di coloro che sono costretti ad andare all'estero per vedersi riconosciuto il loro percorso.
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